Molto
spesso si considera il confine come una linea destinata a separare due realtà
contrapposte, fossero queste due stati, due comunità o quantaltro.
Una linea immaginaria, talvolta collegata ad ostacoli naturali, quali una
catena montuosa o un fiume, più spesso legata a vicende politiche
e umane. In realtà, come ci hanno insegnato grandi storici del calibro
di Lucien Febvre, i monti, i fiumi e le foreste, se possono costituire indubbiamente
degli ostacoli, sono anche punti di congiunzione, centri di espansione
e dirraggiamento, piccoli mondi dotati di un proprio valore e capaci
di attrarre, di legare fra di loro, strettamente, uomini e paesi (L.
Febvre, La terra e levoluzione umana, Torino 1980).
Proprio il confine che corre lungo il crinale appenninico a nord del territorio
pistoiese può beneessere preso come esempio per un discorso del genere.
Certo si tratta di un ostacolo naturale, che da almeno duemila anni, divide
qualcosa, si tratti degli antichi municipi romani, o delle successive diocesi,
dei comuni medievali o delle attuali provincie di Modena, Bologna, Pistoia
e Prato, ma come ha giustamente sottolineato Renzo Zagnoni, riprendendo
in qualche modo le considerazioni di Febvre, si tratta anche di un
confine che non ha mai rappresentato un taglio netto, una cesura radicale,
un limite invalicabile, ma quasi sempre il contrario di tutto ciò,
poiché le popolazioni dei due versanti da secoli sono state in stretto
contatto ed in rapporto continuo anche dal punto di vista sociale
(R. Zagnoni, Un confine lungo duemila anni, in Il confine appenninico: percezione
e realtà dalletà antica ad oggi, a cura di P. Foschi
e R. Zagnoni, Bologna 2001).

In molti punti di questa linea di confine, che talvolta si identifica con
il sentiero di crinale e indica quindi lo spartiacque tra il Tirreno e lAdriatico,
oppure si collega con la Grande Escursione Appenninica (G.E.A.), uno dei
tratti del percorso Sentiero Italia, gli ostacoli naturali sono
effettivamente insormontabili e rendono in qualche modo tangibile lidea
di una separazione necessaria e inevitabile, ma a ben guardare questo è
solo laspetto più evidente, ma non più significativo
di una realtà, quella di qualsiasi zona di frontiera, che presenta
invece molte più tracce e segni di continuità e di contatti
tra le due parti che separa. Tracce che ancora oggi è possibile andare
a ricercare sul posto, ma anche ritrovare nei documenti che gli abitanti
della montagna e gli organi che lhanno governata ci hanno lasciato
negli archivi e nelle biblioteche. Così la cartografia storica, che
spesso come nelle belle tavole del Luder conservate presso lArchivio
di Stato di Firenze e pubblicate quasi venti anni fa dalla Provincia di
Pistoia ha anche un notevole pregio estetico, ci rappresenta un mondo,
quello della montagna, fortemente integrato e soprattutto segnato da tanti
aspetti comuni: dagli insediamenti umani accentrati alla varietà
dei paesaggi forestali e degli incolti, sfruttati come pasture (L. Rombai,
G.C. Romby, Lappennino pistoiese nelle vedute pittoriche di Giovanni
Luder (1711), Pistoia 1987). Così le relazioni sulle visite ai confini,
anche se eseguite da governi differenti, finiscono per riportare episodi
simili e soprattutto per connotare in maniera univoca un territorio con
i suoi toponimi, i suoi fiumi, i suoi sentieri (C. Vivoli, La Montagna pistoiese
nelle visite amministrative tra Sei e Settecento, Nuèter,
XXIX, 2003). Così la letteratura dalle storie popolari, alle
poesie alle canzoni ci narra di un mondo genuino, quello delle popolazioni
della montagna, sottoposto a gravi difficoltà e sacrifici, segnato
dallemigrazione stagionale e dalla povertà.
Come non
pensare, a questo proposito, ai racconti e ai luoghi di Beatrice Bugelli,
la poetessa pastora di Pian degli Ontani o ad una terra mitica come lOrsigna,
ultimo amore di Tiziano Terzani, e al suo omaggio a questo mondo
selvaggio, a questa gente strana, capace di conoscere
lanimo umano come pochi e di dar vita, a volte solo con
un nome e una leggenda, a ogni sasso, ad ogni forra; un popolo senza
storia solito attribuire le proprie origini a una dispersa compagnia
di soldati di ventura o anche a quei contrabbandieri che in questa
valle inaccessibile, e zona di confine fra le terre del Papa e quelle del
Granduca di Toscana, evitavano di pagare il dazio alle Gabellette (un posto
si chiama proprio così) e varcavano la montagna in un punto impervio
chiamato, non a caso, Porta Franca (T. Terzani, In Asia, Milano 1998).
Ma quali sono gli aspetti più significativi e che in qualche modo
identificano una zona di confine, specie se di montagna: le strade che portano
ai valichi e, lungo queste, le pievi e gli ospedali, in genere i luoghi
di accoglienza dei viandanti, ma anche le dogane e le altre strutture di
controllo, nel nostro caso più commerciali che militari, data la
sostanziale neutralità della Toscana, almeno per i secoli delletà
moderna (P. Bellucci, Storia di una strada: i due secoli del valico dellAbetone,
Abetone-Pistoia 1980; C. Cresti, La Toscana dei Lorena. Politica del territorio
e architettura, Firenze 1987). I segni cioè della presenza delluomo
e delle sue opere e anche in questo senso lAppennino pistoiese presenta
caratteristiche esemplari. Come ci ricorda Charles Whikam siamo infatti
di fronte a un complesso sistema orografico e idrografico geograficamente
un po disarticolato, nel quale lelemento unitario è
rappresentato esclusivamente dalla posizione rispetto alla città
(C. Wickham, La montagna e la città. Lappennino toscano nel
Medioevo, in paesaggi dellAppennino, a cura di C. Greppi, Venezia
1990). La complessità orografica delle valli della Lima, del Reno
e degli altri piccoli fiumi che sboccano nella pianura intorno a Pistoia,
non ha impedito a questa città di mantenere il controllo effettivo
su gran parte della sua montagna non solo fino alla conquista fiorentina
nel secolo XIV, ma, sia pure sotto diverse sembianze, ben oltre, per lo
meno fino alle riforme della seconda metà del Settecento.
Questo
controllo ha prodotto nel corso dei secoli una mole notevole di documenti
di vario genere: dalle visite ispettive sullo stato dei boschi, così
importanti per il funzionamento dellindustria siderurgica, ai progetti
di costruzione e poi di manutenzione delle infrastrutture stradali, dai
censimenti della popolazione alle descrizioni delle proprietà comunali,
per non parlare delle consuete e regolari descrizioni delle visite ai confini
che periodicamente dovevano essere compiute dagli uffici delle comunità
di frontiera. Visite ai confini culminate, alla fine del secolo XVIII nella
grande terminatione, quando, a seguito di una convenzione stipultata
tra il Granducato di Toscana e lo Stato della Chiesa, tutta la linea confinaria
venne descritta dapprima sulla carta, con una abbondante produzione di mappe
e di piante eseguite dagli ingegneri dei due stati e controfirmate dai rappresentanti
degli stessi, poi sul terreno, per mezzo di termini cilindrici posti a breve
distanza luno dallaltro.
Proprio questi cippi, che furono il simbolo del convegno organizzato dal
Gruppo di studi Alta Valle del Reno e dalla Società Pistoiese di
Storia Patria nel 2000 a Capugnano vicino a Porretta Terme su Il confine
appenninico: percezione e realtà dalletà antica ad oggi,
rappresentano lelemento unificante di questa proposta di itinerari
che si propongono appunto di andare alla ricerca degli antichi confini,
preservandone lesistenza e la memoria. |