Limentra orientale o di Treppio, Limentrella, Limentra occidentale o della Sambuca sono i nomi che individuano tre differenti corsi d’acqua le cui sorgenti si trovano a poca distanza l’una dall’altra, presso il monastero medievale della Fontana Taona e che formano un’alta valle situata al di là dello spartiacque appenninico nel versante padano, ma storicamente controllata da Pistoia. Antico possesso vescovile pistoiese, di grande importanza strategica per le funzioni di controllo che svolgeva lungo una delle principali direttrici nord-sud, il castello della Sambuca probabilmente sin dai tempi delle guerre tra bizantini e longobardi era finito nella sfera di influenza pistoiese, alla quale fu definitivamente assegnato dopo la pace di Viterbo del 1219, stipulata tra Pistoia e Bologna grazie alla mediazione del cardinale Ugo, vescovo di Ostia e Velletri. Il baluardo vescovile sorvegliava allo stesso tempo il confine con la città felsinea e l’importante arteria di comunicazione con la valle padana, uno dei diverticoli della Via Francigena. Nel corso del secolo XIII, approfittando del precario equilibrio tra gli abitanti della Sambuca e il loro Signore, il Comune di Pistoia poté rafforzare il suo controllo sul castello, assicurando al Vescovo di Pistoia la protezione armata indispensabile per la difesa di possedimenti così periferici e strategicamente determinanti.


 Lo Statuto del 1291
 
Uno dei più antichi fra gli statuti dei comuni italiani del Medioevo è quello della Sambuca Pistoiese del 1291, conservato presso l’Archivio di Stato di Pistoia.
Lo statuto, edito da Quinto Santoli nel 1913 sulla base di una precedente trascrizione compiuta da Ludovico Zdekauer, è stato recentemente ripubblicato in occasione del settecentesimo anniversario, dopo il ritrovamento dell’originale. In questo, come nei coevi statuti dei comunelli rurali, sono riportate accuratamente le norme alle quali si dovevano attenere i circa 200 abitanti del piccolo borgo arroccato su una pendice naturale.



 La Via Francigena
 
Tra i tanti itinerari che i pellegrini diretti a Roma potevano seguire per raggiungere la città del papa vi era anche quello detto della Sambuca, “un piccolo rivo nel grande sistema del pellegrinaggio medievale che portava i pellegrini fino a Santiago di Compostella, a Roma ed anche a Gerusalemme” (B. Homes, Tre viaggi lungo la Limentra occidentale, in Le Limentre, Porretta Terme 2006).
Un documento della metà del secolo XIII, scritto dal rettore dell’ospedale di San Bartolomeo, detto del ‘Pratum Episcopi’ o Spedaletto, ce lo conferma con chiarezza quando si sofferma sulle finalità dell’istituzione di assistenza: “la nostra casa, fratelli carissimi, è edificata sulle alpi pistoiesi e bolognesi, costruita sulla strada detta Francigena che conduce più celermente a Roma e a San Giacomo, per l’onore di Dio e del beato Bartolomeo Apostolo e di tutti gli altri santi e sante, per l’ospitalità dei poveri e l’accoglienza di coloro che transitano, per la refezione dei singoli ed il sostentamento delle persone debilitate e miserabili e per la salvezza dei vivi e dei nostri benefattori e dei fedeli defunti” (R. Zagnoni, Gli ospitali medievali lungo le strade della montagna bolognese e pistoiese, in Le vie degli eserciti, dei mercanti, dei pellegrini: la via Romea, Bologna 1992).


 

 Le ‘pietre’ della Sambuca
 
Le mura degli antichi borghi fortificati, le torri, le chiese e i tabernacoli, le case, i terrazzamenti rustici, i selciati degli abitati e dei percorsi territoriali, uniti ai molteplici segni di un’economia di sussistenza legata allo sfruttamento delle esigue risorse locali (seccatoi, mulini, carbonili, stalle e rimesse) conferiscono all’ambiente della Sambuca un carattere organico e ‘petroso’, dove il legno e la pietra (pressoché gli unici materiali utilizzati) e le stesse forme delle costruzioni, assumono i tratti di elementi primari, d’impronta atavica, primordiale.

Come è stato sottolineato da Bill Homes, autore di un’attenta e appassionata ricognizione dell’architettura rurale del territorio delle Limentre, “lo stretto rapporto fra i luoghi ed i materiali con cui si costruiva, insieme con la loro diretta rispondenza alle funzioni per le quali venivano creati, fanno apparire questi edifici come un qualcosa che sia cresciuto spontaneamente sui versanti di queste montagne e ne sia parte integrante” (B. Homes, Architettura rurale in Le valli della Sambuca. Natura, storia ambiente, a cura di P. Balletti e P. Gioffredi, Comune di Sambuca 1997).

 
 Mille anni di storia e di cultura
 
La storia delle valli della Sambuca è celebrata nell’affresco realizzato dal pittore Paolo Maiani sotto le Logge di Pavana, in occasione del millenario del paese (998-1998). L’opera riassume in quattro scene il mito storico e letterario di questi monti, sospeso tra passato e presente: la Consegna del diploma dell’Imperatore Ottone III al vescovo Antonino, avvenuta nel 998, con cui l’imperatore conferma alla Mensa Vescovile di Pistoia, tra gli altri possedimenti, la “Villam de Pàvano”; la Visita di Cino da Pistoia alla tomba di Selvaggia de’ Vergiolesi, la donna amata dal poeta, morta nel 1313 nel Castello della Sambuca sullo sfondo delle lotte fra Bianchi e Neri; l’epopea recente del paese di Pavana, con la raffigurazione di luoghi e personaggi leggendari ancorché ‘minimi’ (come il Mulino, il Pontaccio, il Limentra, le figure del sarto Gino Nativi chiamato Gòcchia, di Almina la Paiara, di Dante detto Poldo), introdotti dal loro cantore moderno, il ‘pavanese’ Francesco Guccini, anch’egli rappresentato nel dipinto. Storie e personaggi che appartengono a queste valli ma che vivono nell’immaginario collettivo grazie alla trasfigurazione letteraria delle “Cròniche epafàniche” (Milano 1990), da intendersi nella doppia accezione di cronache di Pavana e di cronache epifaniche, cioè rivelatrici di realtà ulteriori), e delle stesse canzoni di Guccini: una per tutte l’epica Amerigo, che evoca in modo commovente il mistero di un’esistenza inafferrabile, specchio del proprio volto, delle proprie radici, e la potenza sotterranea dei ricordi infantili, lasciati, ma non perduti, “tra i castagni dell’Appennino”.
 
 Dialetti e confini
 
Il territorio della Sambuca, inteso come zona di confine, individua anche sotto il profilo linguistico, più che una linea di separazione, di chiusura, una fascia di collegamento e di contatto osmotico tra realtà distinte.
Le caratteristiche fisiche, le vicende storiche e il secolare isolamento delle comunità della montagna hanno determinato la sopravvivenza nell’area della Sambuca, almeno sino ad anni recenti, di peculiarità linguistiche di estremo interesse, variamente interpretate dagli studiosi.
A seconda della loro maggiore o minore “toscanità”, i dialetti della Sambuca possono essere suddivisi in tre aree più una quarta area (quella treppiese) con proprie particolarità linguistico-fonetiche: Pavana; l’area sambucana (Lagacci, Posola, Campeda, Taviano); l’area meridionale (Frassignoni, Torri, Monachino); Treppio.
In particolare, quello di Pavana può considerarsi “un dialetto di tipo toscano ma profondamente segnato da caratteristiche emiliane” (F. Guccini, Dizionario del dialetto di Pavana una comunità fra Pistoiese e Bolognese, Pavana Pistoiese 1998). Più in generale, i dialetti dell’Alto Reno (come pure gli altri parlati lungo la cosiddetta linea La Spezia-Rimini) sono riconducibili ad un sistema linguistico operante una sorta di cerniera tra i due grandi blocchi linguistici neolatini, ovvero una lingua-ponte fra il Nord e il Sud della penisola italiana.
 
 
 Strade, ospedali e dogane lungo la direttrice Pistoia-Bologna
 

Prima della costruzione del tracciato della attuale strada statale n. 64 inaugurata nel 1847, alla fine del Granducato lorenese, i percorsi che lungo le valli delle Limentre raggiungevano il confine con lo stato pontificio erano numerosi, tanto che la storiografia è solita parlare per la viabilità pre-moderna di fasci di strade più che di singoli itinerari. Soprattutto essi dovevano prevedere, insieme al percorso di fondovalle, un’alternativa in quota da percorrere quando l’altro percorso non era praticabile. Tra questi si segnala la “strada di Casale”, ovvero il tracciato di crinale dell’antica via medievale della Sambuca, definita nelle mappe catastali anche come “strada vicinale della Faggeta detta Lombarda”; la “via maestra treppianese”, che attraverso la Badia a Taona e Treppio raggiungeva il confine con lo stato pontificio a Carpineta; la “strada maestra che da Pistoia va alla dogana di Lentula” seguendo il corso della Limentra orientale e il percorso della attuale Pistoia-Riola.
Nel corso dei secoli lungo le grandi arterie di collegamento e specie nei tratti più impervi come quelli di montagna, sorsero numerose strutture di ospitalità gratuita per i viandanti e i pellegrini. Certamente il più importante ‘ospitale’ del percorso della via Francigena della Sambuca fu quello dei Santi Bartolomeo e Antonino detto del Pratum Episcopi, la cui origine parrebbe risalire al secolo XI. Il complesso architettonico dell’Ospizio, del quale rimangono splendide carte settecentesche, comprendeva la Chiesa, l’abitazione dei monaci e dei conversi e l’ospedale dei pellegrini che si trovava in un edificio separato, ma collegato alla chiesa da un passaggio coperto sopraelevato. Vi era inoltre una stalla per le cavalcature dei monaci, uno stallone per quelle dei pellegrini più facoltosi ed una “casa ad uso di osteria”.
L’antico confine con lo Stato della Chiesa nel territorio della Sambuca, rappresentato, oltre che dal fiume Reno, dall’attuale confine tra le province di Pistoia e Bologna, è ancora oggi ben presente in una serie di toponimi e di oggetti che rimandano alla secolare presenza di una linea di frontiera fra stati “esteri”. Dal “Fosso dei Confini” al toponimo ‘Dogana’ per una casa di abitazione in località Carpineta, allo stesso toponimo presente anche a Taviano e a Pavana. Nella prima località era ubicata l’antica dogana settecentesca, di cui ci rimane una bella raffigurazione cartografica dell’architetto Fallani, e situata proprio nei pressi del ponte, dove la strada che veniva da Pistoia, detta anche “via maestra dei muli” si diramava in due direzioni, prendendo a sinistra dopo aver superato la Limentra per il “Bagno della Porretta” o proseguendo a diritto verso il confine, dove in località Moscacchia o Moscaccia, era situata la corrispondente dogana pontificia. Nella seconda, Pavana, sarà invece costruita, nel 1846, la nuova dogana in servizio della nuova strada, la attuale Porrettana. Sempre connesso con il confine è anche il toponimo Termine riferito ad un bosco misto a sud della Tosa, “segnato da uno degli antichi cippi confinari tra il Granducato di Toscana e lo Stato della Chiesa” (Dizionario toponomastico del Comune di Sambuca Pistoiese, a cura di N. Rauty, Pistoia 1993). Cippi confinari sono ancora oggi visibili lungo il tratto di confine che dai pressi di Pavana arriva all’altezza di Gavigno (tra cui quello riprodotto da B. Homes, Le Limentre, Porretta Terme 2006).

 
 
 
 
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