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La
battaglia di Gavinana, durante la quale il 3 agosto del 1530 venne ferito,
catturato e ucciso il capitano delle milizie della Repubblica fiorentina
Francesco Ferrucci (ad opera del comandante nemico Fabrizio Maramaldo),
segna uno spartiacque fondamentale nella storia della Toscana. Essa prelude
alla caduta dellassediata città di Firenze e al definitivo
ritorno al potere della famiglia Medici, grazie al ruolo svolto dal papa
Clemente VII e alla protezione dellimperatore Carlo V, aprendo la
strada al passaggio dalletà repubblicana al principato mediceo,
consolidato dal duca Cosimo I intorno alla metà del secolo XVI. Anche
per la Montagna pistoiese il conflitto chesi risolsecon lo scontro di Gavinana
rappresenta un momento di svolta: segna in qualche modo la fine del lungo
periodo di turbolenze e di contrasti tra le diverse fazioni che cercavano
di controllare Pistoia e il suo territorio, e lavvio della lunga pax
cosimiana, contraddistinta da forme di sfruttamento economico e politico
non indifferenti, ma anche da precise strategie di sviluppo, prima fra tutte,
lintroduzione dellindustria siderurgica che sarà impiantata
in varie località della Montagna e che avrà uno dei suoi centri
operativi a Maresca. |
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Francesco
Ferrucci e il Museo di Gavinana |
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Protagonista
e vittima del mestiere delle armi, dellastuzia e dei torbidi
politici che guidano le travagliate vicende dellItalia del XVI secolo,
la figura del Ferrucci si è progressivamente trasferita dal piano
storico a quello leggendario, letterario, ad incarnare limmagine stessa
delleroismo e della fierezza, contrapposta alla fellonia del Maramaldo,
ovvero di colui che per vendetta uccide vilmente un inerme, un uomo
morto.
Il mito di Francesco Ferrucci, come strenuo difensore degli ideali repubblicani
di libertà e dindipendenza dal tiranno e dallo staniero, fu
ripreso e celebrato - in virtù della sua formidabile valenza simbolica
- soprattutto durante il periodo risorgimentale e postrisorgimentale, quando
i luoghi ferrucciani divennero meta di un vero e proprio pellegrinaggio
laico e patriottico. Come emblema del sentimento di orgoglio nazionale,
il nome del Ferrucci fu persino inserito nellInno di Mameli. Tra le
personalità che giunsero sulla montagna a rendere omaggio alleroe
di Gavinana si ricordano, tra gli altri, Niccolò Puccini, Massimo
dAzeglio, Francesco Domenico Guerrazzi, Giuseppe Garibaldi, Niccolò
Tommaseo, Raffaele Cadorna, Ferdinando Martini.
Per onorare il personaggio, nel 1920 fu collocato nella piazza di Gavinana
il monumento equestre modellato sin dal 1913 dallo scultore fiorentino Emilio
Gallori. In occasione delle celebrazioni del V Centenario della morte (1530-1930),
fu poi acquistata
e restaurata lex casa Battistini, sulla cui soglia, secondo la tradizione
popolare e iconografica, il capitano fiorentino sarebbe stato ucciso da
Fabrizio Maramaldo. Nel 1931 vi furono allestiti un Museo e una Biblioteca
Ferrucciana, al fine di custodire importanti cimeli e documenti storici
ed artistici, tra cui armi e armature, fotografie e incisioni, sculture
e dipinti, opuscoli e volumi, bandiere e costumi del Giuoco del Calcio fiorentino.
Tra il 1956 e il 1957 il museo fu nuovamente ordinato da Renzo Chiarelli
e riorganizzato in ambienti tematici: Sala dArmi, Sala dAzeglio
e della Battaglia, Sala Francesco Ferrucci, Sala dellAssedio e delle
Bandiere (per informazioni e orari: Biblioteca Comunale di San Marcello:
0573-621289).
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DallInno
di Mameli (1847) |
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DallAlpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ognuom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi dItalia
Si chiaman Balilla,
Il suon dogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
LItalia chiamò
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Il
governo della Montagna |
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Originariamente
voluto dalla città di Pistoia per controllare il territorio montano
e le sue popolazioni, la prima menzione di un Capitano della montagna di
Pistoia risale alla fine degli anni venti del secolo XIV. Dopo la costruzione
della rocca di Castel di Mura, su unaltura circondata dalle profonde
gole del Verdiana e della Lima e di cui oggi restano solo poche vestigia,
lì ebbe la sua principale residenza.
Come ricorda Elena Biagini, il capitano restava in carica per tre
mesi: gli erano assegnati un cavallo e sei famigli e riceveva un salario
complessivo di 72 lire. Suo compito specifico era il mantenimento dellordine
nei comuni soggetti alla sua giurisdizione: Popiglio, Piteglio, Mammiano,
San Marcello, Gavinana e Lizzano e in seguito anche Cutigliano. Doveva controllare
il pagamento delle gabelle e amministrava la giustizia in ambito locale
con la facoltà di emettere condanne pecuniarie fino a dieci lire
(E. Biagini, San Marcello dalle origini alletà comunale, Pistoia
1992).
Nella seconda metà del secolo XIV la sede fu spostata a Lizzano e
poi, dopo il passaggio del Capitanato direttamente sotto il controllo di
Firenze, nel 1373, a Cutigliano, dove risiedeva nei mesi estivi. In seguito
le sedi del Capitano divennero tre, Lizzano, Cutigliano e San Marcello,
per ridursi poi a due dopo il 1512, quando fu esclusa Lizzano. A San Marcello
il Capitano risiedeva nellantica dimora dei conti Guidi, oggi scomparsa.
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Il
Teso e i puledri del Granduca |
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Come
ricorda il Repetti, ancora alla metà dellOttocento, la tenuta
regia lungo il crinale tra il monte Crocicchio e la macchia dellOrsigna
nei pressi di Maresca, destinata alla propagazione di una nuova abetina,
era utilizzata nel periodo estivo per il pascolo e lallevamento delle
regie razze cavalline per il resto dellanno di stanza
nella tenuta di Coltano nella macchia di S. Rossore, tra Pisa e Livorno
(E.Repetti, Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, Firenze
1833-1845).
Sin dal secolo XVII la Montagna pistoiese era utilizzata per lallevamento
dei cavalli di proprietà del Granduca, come ci viene ancora confermato
dalla presenza di numerosi topononimi ed in particolare dalla Casetta
de Pulledrari, presente proprio nella parte più alta
della foresta del Teso a circa 1200 metri di altezza, località che
ospita attualmente oltre ad un albergo-ristorante, un campeggio estivo-invernale
e una pista ad anello per lo sci di fondo. |
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La
lavorazione del ferro e lo sfruttamento dei boschi |
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Una
delle principali attività della Montagna pistoiese era quella legata
alla lavorazione del minerale ferroso estratto nelle miniere dellisola
dElba e trasportato in queste zone per essere lavorato sfruttando
la ricchezza di acque e di boschi. Dalla metà del secolo XVI, più
esattamente dal 17 marzo 1543, questa attività divenne un vero e
proprio monopolio statale in seguito al contratto di appalto
stipulato in quella data tra Cosimo I e Jacopo IV Appiani signore di Piombino.
Anche molte delle evidenze architettoniche ancora presenti a Gavinana (tra
cui il palazzetto Appiani, poi Achilli, oggi Punto Informativo Centrale
dellEcomuseo), a Maresca e in altre località della zona sono
da mettere in relazione con lattività della Magona granducale,
oggi ampiamente studiata e valorizzata dallEcomuseo della Montagna
Pistoiese che ha recuperato alcuni vecchi opifici, ripristinandone la funzionalità
a scopi didattici e divulgativi.
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Strade,
boschi e pascoli |
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Particolare
attenzione venne sempre posta dal governo fiorentino verso lo stato delle
foreste e dei boschi nella Montagna pistoiese, specie quando, dalla metà
del secolo XVI, la produzione della legna e del carbone divenne di fondamentale
importanza per lindustria del ferro. Tutte le zone montuose del
Granducato vennero così sottoposte ad una attenta legislazione
vincolistica, la cui attuazione venne garantita da una serie di visite
ispettive effettuata da funzionari del Granduca.
Una delle più antiche fu quella svolta il 13 ottobre 1578 da Francesco
Covato, capomastro della Parte, (la magistratura fiorentina che si occupava
dei lavori pubblici del Granducato). Nel corso della visita si effettuò
la nuova et riformata terminatione dellApennino delle comunità
di San Marcello et di Cavinana, che fu corredata da una mappa, oggi
conservata presso lArchivio di Stato di Firenze. La pianta, di notevole
effetto illustrativo, rappresenta il territorio compreso tra il crinale
appenninico (il confine con la Lombardia) e il fiume Reno,
in gran parte compreso nelle comunità di San Marcello e di Gavinana.
Il cartografo si sofferma sugli insediamenti e sulla principale via di
comunicazione che attraversa questo territorio: lantica via
di Lombardia, appunto, che da San Marcello attraverso la Maceglia
raggiungeva il crinale al passo del Cancellino, ma soprattutto sullo stato
delle foreste e delle boscaglie: dai castagneti da frutto (in parte destinati
al pascolo, selve da porci castagnate) ai grandi squarci aperti
nelle cerrete e nelle faggete dai boscaioli per produrre il carbone necessario
agli opifici da ferro granducali. Sono rappresentati pure i terreni a
pastura e a prato e anche le diacciaie (conserve di neve).
I termini apposti, che ancora oggi sono presenti nella toponomastica,
dovevano servire a dividere i terreni a disposizione degli abitanti delle
comunità da quelli riservati alluso delle industrie del granduca
e stabiliti appunto nelle norme emanate a tale proposito.
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